Il sentiero virtuoso tracciato dal BIM
Il sentiero virtuoso tracciato dal Bim
Il tema della digitalizzazione entra nel mondo dei cantieri attraverso il BIM portando vantaggi indiscutibili, sia sul piano progettuale sia sul versante dei processi e dei costi. Vediamo perché.
Dal 1° gennaio è in vigore il cosiddetto Decreto Bim, ossia l’obbligo di digitalizzare gli appalti pubblici attraverso l’utilizzo del Building Information Modelling. Si tratta di una vera e propria rivoluzione per un settore alquanto riluttante all’adozione delle innovazioni digitali e piuttosto impreparato ad accoglierne una così dirimente come il Bim. Il decreto ministeriale n. 560 del 2017 ha infatti stabilito l’obbligatorietà dai primi del 2019 per le opere al di sopra dei 100 milioni di euro, con un progressivo abbassamento della soglia negli anni successivi (50 milioni per il 2020, 15 milioni nel 2021 ecc.) fino a spingerlo su tutto il sistema dei lavori pubblici entro il 2025. Un processo inesorabile che cambierà il volto dell’intero settore. Essendo il Bim una precisa “rappresentazione digitale di caratteristiche fisiche e funzionali di un oggetto” permetterà una riconoscibilità e tracciabilità di tutte le fasi realizzative di una costruzione, identificando caratteristiche fisiche, provenienza e costi di ogni singolo elemento o processo impiegato. Oltre a permettere quindi l’interoperabilità fra le tante figure professionali che partecipano alla realizzazione di un progetto, il sistema elimina gli errori progettuali prima della fase di cantiere e argina così le costose varianti in corso d’opera, offrendo un controllo costante dei tempi di realizzazione. E soprattutto la certezza dei costi finali. Uno strumento virtuoso, quindi. Naturalmente l’introduzione del Bim avrà un effetto benefico anche sulla prevenzione della corruzione in tanti appalti e contratti. È chiaro che il settore delle costruzionideve confrontarsi con una nuova normativa per la quale ci saranno resistenze nel corso della sua attuazione e che, probabilmente, rischierà di mettere in difficoltà piccole e grandi imprese per la presenza di un gap digitale, cioè per mancanza di competenze. Abbiamo rivolto questi dubbi a un esperto del settore, Federico Pigliapoco, Bim Coordinator e membro della Commissione Bim presso l’Ordine degli Ingegneri di Ancona.
Il Bim si propone di non ostacolare la concorrenza e di facilitare il compito agli operatori, accelerando i processi e ottimizzando i costi. Eppure gli ostacoli da superare sembrano tantissimi. È solo una sensazione? «Sì, è solo una sensazione. Bisogna certamente ammettere che molti operatori vivono l’obbligo del BIM come una norma fastidiosa perché imposta dall’alto. Ma il livello di preparazione dei progettisti è complessivamente piuttosto elevato, e quindi sono pronti a recepire questa novità, che era comunque nell’aria ormai da molti mesi. D’altronde è giusto ricordare che l’Italia ha una posizione invidiabile rispetto alla dimestichezza del BIM, unico Paese assieme al Regno Unito ad aver sviluppato una propria normativa di riferimento che recepisce le normative ISO. Quindi da questo punto di vista quello che è stato fatto a livello governativo è molto positivo. Certo, il tema della digitalizzazione entra nel mondo dei cantieri un po’ più in ritardo rispetto ad altre industries, ma questo fa parte di un gap digitale che è strutturale per il nostro settore».
La caratteristica principale del sistema è la collaborazione fra le diverse figure professionali. Ma sono davvero formati i professionisti all’utilizzo del Bim? Chi lo sa impiegare è appena laureato oppure ha fatto un master specifico. Stiamo comunque parlando di persone d’età compresa tra i 27 e i 32 anni. «È vero, se dobbiamo guardare alla semplice professionalità mostrata a livello nominale, cioè per titoli e attestati, la maggior parte dei profili di BIM Specialist è composta da ragazzi giovani, che hanno fatto corsi di formazione o si sono “masterizzati” da non più di due anni. Non bisogna però farsi confondere dall’equazione giovani = BIM, perché sulla piazza ci sono moltissimi professionisti esperti che vantano una grandissima esperienza di progettazione e gestione di cantieri più o meno complessi e che, se correttamente coinvolti, diventano fondamentali per l’implementazione di procedure e metodologie innovative. Non credo infatti che neolaureati con master da “BIM Manager” o un semplice corso, privi di esperienze di progettazione o gestione di progetti realmente in BIM, possano adempiere subito al compito così impegnativo della gestione informativa. L’esperienza fatta sul campo resta ancora dirimente».
Gli studi di progettazione sembrano molto più avanti rispetto alle aziende di costruzioni in termini di competenze BIM e, in generale, di competenze digitali… «Gli studi privati sono pronti in buona parte a lavorare con questa metodologia, e sto parlando degli studi di ingegneria e di architettura che si occupano solo di progettazione. Mentre invece per le grandi aziende di costruzioni il discorso è ancora un po’ diverso: se fino a pochi anni fa i grandi gruppi delegavano la modellazione in BIM all’esterno, oggi stanno iniziando a dotarsi di un ufficio tecnico in grado di sviluppare progetti con questa metodologia attraverso personale interno ben formato».
E le piccole e medie imprese, a che punto sono? «Le Pmi non sono ancora pronte, e spesso si rivolgono a personale formato con semplici corsi di breve durata che non possono certamente sostituire anni e anni di esperienze di progettazione in cantiere. E che lasciano quindi il tempo che trovano. Cionondimeno il settore sente, ormai a tutti i livelli, la necessità di una maggiore digitalizzazione dei processi, e questo è forse l’effetto migliore dell’introduzione dell’obbligo di questo strumento operativo. Quindi, va molto bene la voglia di cambiamento. L’importante è però non svilire il significato originario dell’approccio BIM, che non deve essere banalizzato fino ad arrivare all’attribuzione di un’etichetta di qualità ormai svuotata di sostanza. La gestione informativa deve essere giustamente introdotta con una gradualità dell’obbligo, perché è ormai il mercato che la esige. Solo con la digitalizzazione dei processi è infatti possibile l’accesso alle medesime informazioni da parte di tutti gli attori della filiera. Informazioni che possono essere interrogate in qualsiasi fase della progettazione per evitare errori, riuscendo quindi a far risparmiare alle aziende sia in termini di tempo sia in termini di costi».
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